Intervista PCP
a cura di
Ester Coppola
1) Perché Piano Che Piove?
Piano che piove è un modo di dire, un gioco di parole ripreso dall’abitudine di uno di noi di salutare alla fine dei nostri incontri per le prove o per un concerto. L’abbiamo scelto perché ci sembrava che suonasse bene e perché, fra i molti nomi fantasiosi che si usa dare alle band, questo si presta meglio di altri ad essere ricordato. Lo sappiamo che suona un po’ scemo però…magari funziona.
2) Sempre ricorrenti nei vostri testi i viaggi, perché proprio questo tema?
In un modo di vivere dove tutte le cose sono pianificate al minuto perché ci sono un miliardo di cose da fare e sei sempre di corsa per riuscire a farle tutte, il viaggio diventa, suo malgrado, un momento di stacco, un modo diverso di vivere il tempo. Durante un viaggio cambiano i paesaggi, cambia il tuo modo di gestire quelle ore che hai a disposizione. Quello di cui si parla nelle canzoni in realtà è sempre un viaggio immaginato, o ricordato, e le riflessioni che ne conseguono sono elaborazioni basate sul ricordo di sensazioni vissute o anche solo immaginate. Le sensazioni che ti rimangono attaccate sono quello che resta dell’esperienza in generale, quindi anche quella di un viaggio
3) Il viaggio che vi è piaciuto di più e quello che non vi è piaciuto per niente.
Pur nelle difficoltà che si incrociano necessariamente nel mettere insieme un’esperienza di questo tipo, il viaggio più bello è quello della tua musica quando riesci in qualche modo, tanto o poco, a farla emergere. Al di là del modo personale in cui ognuno di noi vive certe esperienze, direi che invece il viaggio più brutto in una band è rappresentato dal percorso di rottura che a volta si determina fra uno e gli altri. Per quanto circoscritto a differenti visioni del progetto, per quanto vissuto civilmente, è sempre un viaggio che alla fine ti lascia un po’ di amaro in bocca. Sono cose che succedono in tutte le band, specialmente nel momento in cui certi obiettivi si vanno definendo e il fatto di muoversi in un contesto artistico non aiuta, anzi…sulle questioni artistiche si è forse meno disposti a compromessi che su altre.
4) Qual è il ricordo del vostro passato che avete più a cuore?
Sempre saltando i discorsi personali, il lavoro fatto per la preparazione del disco. È stato un lavoro con dei momenti molto intensi, nei quali si sono condivise sensazioni positive (la maggior parte) e anche negative (per fortuna solo alcune) ma quasi sempre con una componente emozionale di un certo peso. Rispetto al tran tran quotidiano, sicuramente un’esperienza privilegiata.
5) Chi è Alice?
Alice è quella parte di noi stessi alla quale ci rivolgiamo a volte in una sorta di dialogo introspettivo. Nella canzone c’è questa protagonista femminile che durante un viaggio (tanto per cambiare..) rivede luoghi che le sono appartenuti ma che, nell’incalzare della quotidianità ha quasi perso di vista. Sulla scia del ricordo intesse un dialogo immaginario con la propria vita, Alice, appunto.
6) Come si viaggia in treno in Italia?
Mah, nessuno di noi fa il pendolare in treno quindi come si viaggia da pendolari non lo sappiamo. Sul resto dei treni non si viaggia male….
7) Tra tutti i viaggi che avete fatto qual è l’incontro che vi è rimasto a cuore?
Nella vita di una band passano persone che a volte restano e a volte se ne vanno, musicisti, tecnici di studio, amici che ti seguono. Qualcuno a volte lascia un segno che finisce per avere un peso anche nel lavoro musicale. Nel booklet del disco c’è un ringraziamento a tutti quelli che “hanno attraversato la vita di queste canzoni contribuendo con la propria sensibilità a definirne anima e colore..” Ecco, questi sono gli incontri che restano.
8) Il titolo di una vostra canzone è Milano-Roma: quale tra le due città vi piace di più e perché?
A Milano ci siamo nati e ci viviamo, è abbastanza normale che uno si senta legato. Roma è un posto molto accogliente e sicuramente più aperto di Milano. Milano si presenta più blindata, forse anche perché fa più freddo. Roma è un luogo appagante per chi la visita. Poi viverci… chi può dire, bisognerebbe viverci.
9) Se doveste definirvi con una stagione quale scegliereste?
Le canzoni dei PCP sono abbastanza riflessive, una si intitola proprio Autunno. Però dai, lasciateci l’ambizione di avere qualcosa da condividere con ognuna…
10) La lettera più intensa l’avete scritta a chi?
A quella parte di noi che è disposta a sputtanarsi per provare a lasciare un segno del proprio passaggio.
11) Mare o montagna?
Milano 350 giorni all’anno. Gli altri quindici più o meno si dorme.
12) Nel caso ci dovessero essere delle collaborazioni con quale genere musicale mescolereste il vostro sound?
Se fosse possibile una via di mezzo fra il folk e il Jazz. Un po’ come avevano fatto gli inglesi a cavallo fra gli anni 60 e 70. Poi, noi siamo più sensibili alle suggestioni latine e magari viriamo sulla bossa piuttosto che altro ma il concetto è quello.
13) Progetti futuri.
Concerti, e fra un po’ un altro disco. Il materiale c’è già…
14) Sogno nel cassetto.
Nessuno, solo tanta voglia di condividere.
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